ESCP Business School

Pubblicato il 22 Mar 2022
Pubblicato il 22 Mar 2022
“Come cambiano le professioni nel Food and Beverage?” - Intervista al prof. Francesco Venuti

“Come cambiano le professioni nel Food and Beverage?” - Intervista al prof. Francesco Venuti


L’identikit del manager del Food and Beverage, di oggi e domani: il professore Francesco Venuti, dal master della ESCP Business School, ne parla con Dissapore. Trovi qui l’articolo completo. 

“C’è stato un tempo in cui si entrava in una azienda e poi probabilmente si finiva la carriera nella stessa, magari nello stesso dipartimento. Non è più così“: a spiegarcelo è Francesco Venuti, direttore del Master in Food and Beverage Management di ESCP, programma di studio post-laurea (equivalente a una laurea specialistica di secondo livello) che, ad aprile 2021, si è posizionato al primo posto della classifica globale di Eduniversal dei migliori programmi specialistici nel F&B management.

Un master che, come spiega il professore, punta a una conoscenza ampia perché “è finita l’epoca della parcellizzazione delle conoscenze“. Capacità sistemica, flessibilità, conoscenza dei trend emergenti e gestione degli stessi: queste sono le caratteristiche del manager di domani. In campo gastronomico e non.

Professore, quali caratteristiche si aspettano di riscontrare le aziende, oggi, in un food manager?

Il manager tradizionale non basta più; bisogna avere competenze sempre più sistemiche, skills sempre più manageriali ma anche tecniche. Ovvero, non è necessario essere un tecnico della blockchain o un esperto del digitale, ma avere una conoscenza di base in quel settore. D’altro canto chi ha una formazione più tecnica (penso per esempio a chi ha studiato scienze della nutrizione) deve necessariamente integrare con nozioni nel business. Poi la comunicazione, oggi, è sicuramente fondamentale.

Il nostro settore sarà sempre più “phygital”: cioè l’ambito digital si integrerà con quello fisico, rendendo man mano fondamentale saper integrare efficacemente le esperienze online con quelle offline. 

In quest’ottica, si consideri che l’ambito gastonomico è fortemente esperienziale; qui lo spazio per l’innovazione è amplissimo. Un esempio su tutti, la distanza tra i driver che determinano l’esperienza della ristorazione offline e online, ovvero una cena al tavolo del locale e la stessa ordinata delivery: ecco, sul miglioramento dell’espierenza “offsite”, nonché sulla compenetrazione tra i due fronti, per ridurne al minimo la distanza, c’è moltissimo su cui lavorare.

Quali sono le lauree più indicate per una formazione verticale come quella del business nel food and beverage?

Nel nostro master ci sono parecchi laureati in economia, molti in scienze della nutrizione, altri in lettere, storia e filosofia: non è una questione di lauree specifiche in entrata, ma più di passione. 

Bisogna essere flessibili, pronti ad orientarsi e riorientarsi in base ai trend. Insomma, è più una questione di attitudine, anche perché le professionalità oggi sono molto composite. Penso per esempio all’utilità di una laurea in matematica nell’analisi dei dati per fornire suggerimenti al management per prendere le proprie decisioni.  

E in quali ambiti, specificatamente, le aziende agroalimentari stanno assumendo?

Ormai le grandi aziende hanno tutte dipartimenti interi dedicati alla sostenibilità, e anche quelle di medie dimensioni si sono strutturate in questa direzione. Ma non solo, serve chi si occupi di bilanci e rendicontazioni; su questo fronte vale la pena sottolineare che mentre le aziende strutturate hanno tutti gli strumenti necessari, le piccole e medie sono più in difficoltà. 

È ragionevole pensare che molte aziende non agroalimentari stiano differenziando con il food?

Per molti anni si è andati nella direzione della iper-specializzazione e della iper-frammentazione: l’inversione di questo trend sarà sempre più palese. Così come sul lavoro il grande vantaggio competitivo sarà di chi ha una visione sistemica, le imprese avranno sempre più bisogno di essere integrate.

Le classificazioni dei settori saranno sempre più fluide, e in parte lo sono già. Cosa produce Ikea? Cos’è Amazon. E Uber? La risposta sta nelle attività, non nelle categorie, e quella alimentare sarà, sempre di più, un’area compenetrata in altre categorie. 

Come cambia il settore, anche in ottica del Covid?

Il campo food and beverage è stato impattato in maniera differente rispetto agli altri settori. Con una distinzione necessaria tra ristorazione e alimentazione. Sull’hospitality la pandemia ha avuto un impatto notevole, ma che ha comportato una risposta assai dinamica (si pensi al boom delle dark kitchen, alla forte accelerata nel food delivery, alle novità come le box a domicilio). Insomma, un po’ come quanto accaduto nella scuola, il Covid ha comportato gravi problemi e una forte accelerazione di fenomeni già in atto, specie sul fronte della tecnologia e dell’innovazione. 

Dall’altra parte c’è tutto il settore del food in senso stretto, che non ha quasi conosciuto crisi se non problemi di supply chain (andamenti anomali della domanda). Se guardiamo ai singoli settori, la crisi di fatto non c’è stata. 

Per il resto procedono i trend che erano già avviati: l’agrifood-tech, la sensibilità all’etica e all’ambiente, l’healthy, la riscoperta delle tradizioni culinarie e del local, naturalmente la sostenibilità, la diminuzione degli sprechi, la tracciabilità e le tecnologie. 


Leggi l’articolo completo su dissapore.com.

Scopri se il Master in International Food & Beverage Management di ESCP Business School è il programma adatto a te rispondendo a questo breve quiz.

L’identikit del manager del Food and Beverage, di oggi e domani: il professore Francesco Venuti, dal master della ESCP Business School, ne parla con Dissapore. Trovi qui l’articolo completo. 

“C’è stato un tempo in cui si entrava in una azienda e poi probabilmente si finiva la carriera nella stessa, magari nello stesso dipartimento. Non è più così“: a spiegarcelo è Francesco Venuti, direttore del Master in Food and Beverage Management di ESCP, programma di studio post-laurea (equivalente a una laurea specialistica di secondo livello) che, ad aprile 2021, si è posizionato al primo posto della classifica globale di Eduniversal dei migliori programmi specialistici nel F&B management.

Un master che, come spiega il professore, punta a una conoscenza ampia perché “è finita l’epoca della parcellizzazione delle conoscenze“. Capacità sistemica, flessibilità, conoscenza dei trend emergenti e gestione degli stessi: queste sono le caratteristiche del manager di domani. In campo gastronomico e non.

Professore, quali caratteristiche si aspettano di riscontrare le aziende, oggi, in un food manager?

Il manager tradizionale non basta più; bisogna avere competenze sempre più sistemiche, skills sempre più manageriali ma anche tecniche. Ovvero, non è necessario essere un tecnico della blockchain o un esperto del digitale, ma avere una conoscenza di base in quel settore. D’altro canto chi ha una formazione più tecnica (penso per esempio a chi ha studiato scienze della nutrizione) deve necessariamente integrare con nozioni nel business. Poi la comunicazione, oggi, è sicuramente fondamentale.

Il nostro settore sarà sempre più “phygital”: cioè l’ambito digital si integrerà con quello fisico, rendendo man mano fondamentale saper integrare efficacemente le esperienze online con quelle offline. 

In quest’ottica, si consideri che l’ambito gastonomico è fortemente esperienziale; qui lo spazio per l’innovazione è amplissimo. Un esempio su tutti, la distanza tra i driver che determinano l’esperienza della ristorazione offline e online, ovvero una cena al tavolo del locale e la stessa ordinata delivery: ecco, sul miglioramento dell’espierenza “offsite”, nonché sulla compenetrazione tra i due fronti, per ridurne al minimo la distanza, c’è moltissimo su cui lavorare.

Quali sono le lauree più indicate per una formazione verticale come quella del business nel food and beverage?

Nel nostro master ci sono parecchi laureati in economia, molti in scienze della nutrizione, altri in lettere, storia e filosofia: non è una questione di lauree specifiche in entrata, ma più di passione. 

Bisogna essere flessibili, pronti ad orientarsi e riorientarsi in base ai trend. Insomma, è più una questione di attitudine, anche perché le professionalità oggi sono molto composite. Penso per esempio all’utilità di una laurea in matematica nell’analisi dei dati per fornire suggerimenti al management per prendere le proprie decisioni.  

E in quali ambiti, specificatamente, le aziende agroalimentari stanno assumendo?

Ormai le grandi aziende hanno tutte dipartimenti interi dedicati alla sostenibilità, e anche quelle di medie dimensioni si sono strutturate in questa direzione. Ma non solo, serve chi si occupi di bilanci e rendicontazioni; su questo fronte vale la pena sottolineare che mentre le aziende strutturate hanno tutti gli strumenti necessari, le piccole e medie sono più in difficoltà. 

È ragionevole pensare che molte aziende non agroalimentari stiano differenziando con il food?

Per molti anni si è andati nella direzione della iper-specializzazione e della iper-frammentazione: l’inversione di questo trend sarà sempre più palese. Così come sul lavoro il grande vantaggio competitivo sarà di chi ha una visione sistemica, le imprese avranno sempre più bisogno di essere integrate.

Le classificazioni dei settori saranno sempre più fluide, e in parte lo sono già. Cosa produce Ikea? Cos’è Amazon. E Uber? La risposta sta nelle attività, non nelle categorie, e quella alimentare sarà, sempre di più, un’area compenetrata in altre categorie. 

Come cambia il settore, anche in ottica del Covid?

Il campo food and beverage è stato impattato in maniera differente rispetto agli altri settori. Con una distinzione necessaria tra ristorazione e alimentazione. Sull’hospitality la pandemia ha avuto un impatto notevole, ma che ha comportato una risposta assai dinamica (si pensi al boom delle dark kitchen, alla forte accelerata nel food delivery, alle novità come le box a domicilio). Insomma, un po’ come quanto accaduto nella scuola, il Covid ha comportato gravi problemi e una forte accelerazione di fenomeni già in atto, specie sul fronte della tecnologia e dell’innovazione. 

Dall’altra parte c’è tutto il settore del food in senso stretto, che non ha quasi conosciuto crisi se non problemi di supply chain (andamenti anomali della domanda). Se guardiamo ai singoli settori, la crisi di fatto non c’è stata. 

Per il resto procedono i trend che erano già avviati: l’agrifood-tech, la sensibilità all’etica e all’ambiente, l’healthy, la riscoperta delle tradizioni culinarie e del local, naturalmente la sostenibilità, la diminuzione degli sprechi, la tracciabilità e le tecnologie. 


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