Questo articolo è stato elaborato dai ragazzi di Oikosmos, l'associazione studentesca no-profit nata nel 2007 presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Parma.
Cosa succederebbe se si decidesse di mettere nella stessa stanza virtuale queste tre persone? Fra di loro sono diverse, hanno tre età diverse, ma soprattutto tre esperienze diverse. La voce narrante oggi si farà da parte per dare voce a tre storie, tre modi di affrontare la vita “professionale” che apparentemente possono sembrare l’uno indipendente dall’altro, ma invece se intrecciati sono la loro esatta evoluzione.
Ed è proprio per continuare sul filone della triade che oggi Giuseppe, Laura e Nunzio ci parleranno di Motivazione, Rischio e Organizzazione. Ma solo alla fine riusciremo ad assegnare ad ognuno di loro il pezzo di puzzle perfetto per completare il disegno del perfetto professionista.
Cosa rappresenta per te la motivazione oggi e cosa ha rappresentato in passato?
Una maglietta dei primi anni 2000 poneva un quesito, “perchè facciamo quello che facciamo?” la mia risposta è stata sempre la stessa “Per essere il numero 1”. Raggiungere questo obiettivo da un punto di vista professionale richiede la capacità di riuscire ad essere motivato ogni giorno, perchè quando vuoi essere il numero 1, inevitabilmente passerai tanto tempo da solo.
La mia esperienza mi dice che la motivazione è generata da fattori diretti ed indiretti. IL fattore diretto con la F maiuscola è la preparazione. Aver fatto il cosidetto “extra mile”, è ciò quello che ci dà la confidenza di stare bene con noi stessi e che nessuno al posto nostro avrebbe potuto fare meglio. I fattori esterni sono molteplici, anche se su tutti la “mediocrità vincente”, che ci circonda, è sicuramente il più emotivamente difficile da gestire. Il mio modo di impermealizzarmi e motivarmi sono le “pillole di felicità” sempre a mia disposizione, le mie preferite sono:
1) playlist relative ai posti che amo
2) i film in cui i lavoratori vincono sui mediocri (Jerry Maguire su tutti)
3) scrivere il mio piano per conquistare il mondo (anche l’ego va motivato e protetto con molta cura).
La motivazione è dunque la caratteristica professionale di base, che attraversa tutta la tua carriera, da studente, manager, dirigente e come tutte le cose importanti della vita, dipende solo da noi stessi.
La parola rischio che significato ha per te?
Continuo a chiedermelo, perché a 23 anni forse non l’ho ancora capito, anche se tutti continuano a ripetermi che alla mia età i rischi non esistano.
E invece, udite udite ... è una fake news! I rischi ci sono esattamente come ci sono a 50 anni, sono solo differenti!
I rischi in cui incorro tutti i giorni sono forse banali per una persona già avviata nel mondo del lavoro e che ha una famiglia sulle spalle, ma non lo sono per me e per chi si trova nella mia stessa situazione.
Mi districo, e no non mi destreggio perché la mia vita è un nodo continuo, tra università vita privata e lavoro.
Ci sono giornate in cui sono costretta a dire ai miei amici che per i prossimi tre giorni sarò off limits, perché ho ancora 45 capitoli da studiare, 7 task da completare, 2 articoli da scrivere etc.. e poi mi sale su a partire dalle dita dei piedi fino al cervello, come una scossa, la FOMO.
FOMO (acronimo per l'espressione inglese Fear of missing out; letteralmente: "paura di essere tagliati fuori") indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti.
Ogni giorno la vita ci mette davanti a varie scelte, quella che più spesso mi ritrovo a fare è tra il piacere ed il dovere. Questo è il cosiddetto pain point. Il punto del dolore, si perché doversi dividere tra lavoro-università-vita privata provoca dolore, e almeno 1 su 3 ne soffre.
Spesso sono obbligata a scegliere il dovere, e questo isolamento forzato a cui mi sottopongo per il raggiungimento dei miei obiettivi è frustante e snervante. Sono doveri, sì, ma che spesso vedo come obblighi, quando ci penso però realizzo che non sono obblighi che mi sono stati imposti (perché ho scelto io di fare questa vita) quindi inizio a vederli come obblighi nei miei confronti, obblighi nei confronti dei traguardi che mi sono imposta.
L’organizzazione che ruolo ha avuto nella carriera universitaria?
L’organizzazione è la prima cosa che uno studente universitario deve apprendere per “sopravvivere” all’impatto con questa nuova esperienza. Privato delle rigidità imposte dal sistema scolastico è adesso libero di gestire il proprio tempo essenzialmente privo di vincoli. La libertà, però, può diventare un’arma a doppio taglio senza una buona organizzazione del proprio tempo.
All’inizio del percorso universitario spesso non ce ne rendiamo conto, ma mentre organizziamo il nostro tempo (e le nostre energie) per gestire i task che ci si presentano davanti (esami, progetti ecc…) stiamo già forgiando e perfezionando il nostro approccio con il mondo del lavoro, stiamo formando la nostra professionalità, che affineremo poi nel mondo del lavoro.
Quasi certamente non esiste una formula magica per imparare a gestire tempo ed energie, ma, probabilmente, tutti dovremmo cominciare con due domande fondamentali: Come fare per gestire la propria energia? Come organizzare i propri impegni per non “scaricarsi”?
Arrivato alla fine del mio percorso universitario, ho maturato le mie personalissime risposte: in una situazione di relativa libertà, se ne ho la possibilità, assecondo i bisogni del mio corpo e della mia mente senza andare “fuorigiri”, in modo che, quando lavoro, lo faccio sempre al 100%. Inoltre, mi aiuto molto con la musica per rimanere concentrato quando sono impegnato (il tipo di musica varia in base al mood o al tipo di compito).
Questo non significa che i fuorigiri non arriveranno (soprattutto quando si svolgono anche altre attività (per me è stato l’associazionismo, con Oikosmos), ma avere un’organizzazione di base aiuta a gestire anche i momenti di maggior frenesia senza rischiare di essere sovrastati dallo stress e di minare la propria produttività. Il modo migliore che ho trovato per evitare che troppi impegni tutti insieme mi scoraggino è quello di suddividere ognuno di essi in compiti parziali, spezzettarli in azioni più semplici e facilmente leggibili. Il tempo viene così diviso meglio, e riesco a controllare meglio l’avanzamento di tutti i miei compiti.
È sicuramente un puzzle complicato da comprendere, ma quando ci si trova a dover comporre pezzo per pezzo la propria strada, cercando fra migliaia di pezzi che potrebbero essere compatibili, ma non perfetti fra di loro, commettendo errori, raggiungendo traguardi, è lì che si capisce quanto sia importante fermarsi un attimo e farsi delle domande.
Chi voglio essere oggi? Chi voglio diventare domani? Cosa farò per rendermi felice?
Le risposte dei tre “professionisti” che avete letto sono frutto di esperienze, di sacrifici, ma anche di gratificazioni. Giuseppe, Laura e Nunzio hanno raccontato un tassello delle loro esperienze, ma se li mettiamo insieme ci rendiamo conto che Giuseppe non sarebbe mai diventato quello che è oggi senza aver rischiato come sta facendo oggi Laura, Laura non avrebbe raggiunto il suo traguardo senza l’organizzazione che ha sperimentato Nunzio nel suo percorso di studi, e che Nunzio non si sarebbe impegnato così tanto senza la motivazione che oggi è il cardine della carriera di Giuseppe. Tre persone, migliaia di pezzi, un solo disegno per diventare il professionista che hanno sempre desiderato essere.
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Questo articolo è stato elaborato dai ragazzi di Oikosmos, l'associazione studentesca no-profit nata nel 2007 presso il Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Parma.
Cosa succederebbe se si decidesse di mettere nella stessa stanza virtuale queste tre persone? Fra di loro sono diverse, hanno tre età diverse, ma soprattutto tre esperienze diverse. La voce narrante oggi si farà da parte per dare voce a tre storie, tre modi di affrontare la vita “professionale” che apparentemente possono sembrare l’uno indipendente dall’altro, ma invece se intrecciati sono la loro esatta evoluzione.
Ed è proprio per continuare sul filone della triade che oggi Giuseppe, Laura e Nunzio ci parleranno di Motivazione, Rischio e Organizzazione. Ma solo alla fine riusciremo ad assegnare ad ognuno di loro il pezzo di puzzle perfetto per completare il disegno del perfetto professionista.
Cosa rappresenta per te la motivazione oggi e cosa ha rappresentato in passato?
Una maglietta dei primi anni 2000 poneva un quesito, “perchè facciamo quello che facciamo?” la mia risposta è stata sempre la stessa “Per essere il numero 1”. Raggiungere questo obiettivo da un punto di vista professionale richiede la capacità di riuscire ad essere motivato ogni giorno, perchè quando vuoi essere il numero 1, inevitabilmente passerai tanto tempo da solo.
La mia esperienza mi dice che la motivazione è generata da fattori diretti ed indiretti. IL fattore diretto con la F maiuscola è la preparazione. Aver fatto il cosidetto “extra mile”, è ciò quello che ci dà la confidenza di stare bene con noi stessi e che nessuno al posto nostro avrebbe potuto fare meglio. I fattori esterni sono molteplici, anche se su tutti la “mediocrità vincente”, che ci circonda, è sicuramente il più emotivamente difficile da gestire. Il mio modo di impermealizzarmi e motivarmi sono le “pillole di felicità” sempre a mia disposizione, le mie preferite sono:
1) playlist relative ai posti che amo
2) i film in cui i lavoratori vincono sui mediocri (Jerry Maguire su tutti)
3) scrivere il mio piano per conquistare il mondo (anche l’ego va motivato e protetto con molta cura).
La motivazione è dunque la caratteristica professionale di base, che attraversa tutta la tua carriera, da studente, manager, dirigente e come tutte le cose importanti della vita, dipende solo da noi stessi.
La parola rischio che significato ha per te?
Continuo a chiedermelo, perché a 23 anni forse non l’ho ancora capito, anche se tutti continuano a ripetermi che alla mia età i rischi non esistano.
E invece, udite udite ... è una fake news! I rischi ci sono esattamente come ci sono a 50 anni, sono solo differenti!
I rischi in cui incorro tutti i giorni sono forse banali per una persona già avviata nel mondo del lavoro e che ha una famiglia sulle spalle, ma non lo sono per me e per chi si trova nella mia stessa situazione.
Mi districo, e no non mi destreggio perché la mia vita è un nodo continuo, tra università vita privata e lavoro.
Ci sono giornate in cui sono costretta a dire ai miei amici che per i prossimi tre giorni sarò off limits, perché ho ancora 45 capitoli da studiare, 7 task da completare, 2 articoli da scrivere etc.. e poi mi sale su a partire dalle dita dei piedi fino al cervello, come una scossa, la FOMO.
FOMO (acronimo per l'espressione inglese Fear of missing out; letteralmente: "paura di essere tagliati fuori") indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti.
Ogni giorno la vita ci mette davanti a varie scelte, quella che più spesso mi ritrovo a fare è tra il piacere ed il dovere. Questo è il cosiddetto pain point. Il punto del dolore, si perché doversi dividere tra lavoro-università-vita privata provoca dolore, e almeno 1 su 3 ne soffre.
Spesso sono obbligata a scegliere il dovere, e questo isolamento forzato a cui mi sottopongo per il raggiungimento dei miei obiettivi è frustante e snervante. Sono doveri, sì, ma che spesso vedo come obblighi, quando ci penso però realizzo che non sono obblighi che mi sono stati imposti (perché ho scelto io di fare questa vita) quindi inizio a vederli come obblighi nei miei confronti, obblighi nei confronti dei traguardi che mi sono imposta.
L’organizzazione che ruolo ha avuto nella carriera universitaria?
L’organizzazione è la prima cosa che uno studente universitario deve apprendere per “sopravvivere” all’impatto con questa nuova esperienza. Privato delle rigidità imposte dal sistema scolastico è adesso libero di gestire il proprio tempo essenzialmente privo di vincoli. La libertà, però, può diventare un’arma a doppio taglio senza una buona organizzazione del proprio tempo.
All’inizio del percorso universitario spesso non ce ne rendiamo conto, ma mentre organizziamo il nostro tempo (e le nostre energie) per gestire i task che ci si presentano davanti (esami, progetti ecc…) stiamo già forgiando e perfezionando il nostro approccio con il mondo del lavoro, stiamo formando la nostra professionalità, che affineremo poi nel mondo del lavoro.
Quasi certamente non esiste una formula magica per imparare a gestire tempo ed energie, ma, probabilmente, tutti dovremmo cominciare con due domande fondamentali: Come fare per gestire la propria energia? Come organizzare i propri impegni per non “scaricarsi”?
Arrivato alla fine del mio percorso universitario, ho maturato le mie personalissime risposte: in una situazione di relativa libertà, se ne ho la possibilità, assecondo i bisogni del mio corpo e della mia mente senza andare “fuorigiri”, in modo che, quando lavoro, lo faccio sempre al 100%. Inoltre, mi aiuto molto con la musica per rimanere concentrato quando sono impegnato (il tipo di musica varia in base al mood o al tipo di compito).
Questo non significa che i fuorigiri non arriveranno (soprattutto quando si svolgono anche altre attività (per me è stato l’associazionismo, con Oikosmos), ma avere un’organizzazione di base aiuta a gestire anche i momenti di maggior frenesia senza rischiare di essere sovrastati dallo stress e di minare la propria produttività. Il modo migliore che ho trovato per evitare che troppi impegni tutti insieme mi scoraggino è quello di suddividere ognuno di essi in compiti parziali, spezzettarli in azioni più semplici e facilmente leggibili. Il tempo viene così diviso meglio, e riesco a controllare meglio l’avanzamento di tutti i miei compiti.
È sicuramente un puzzle complicato da comprendere, ma quando ci si trova a dover comporre pezzo per pezzo la propria strada, cercando fra migliaia di pezzi che potrebbero essere compatibili, ma non perfetti fra di loro, commettendo errori, raggiungendo traguardi, è lì che si capisce quanto sia importante fermarsi un attimo e farsi delle domande.
Chi voglio essere oggi? Chi voglio diventare domani? Cosa farò per rendermi felice?
Le risposte dei tre “professionisti” che avete letto sono frutto di esperienze, di sacrifici, ma anche di gratificazioni. Giuseppe, Laura e Nunzio hanno raccontato un tassello delle loro esperienze, ma se li mettiamo insieme ci rendiamo conto che Giuseppe non sarebbe mai diventato quello che è oggi senza aver rischiato come sta facendo oggi Laura, Laura non avrebbe raggiunto il suo traguardo senza l’organizzazione che ha sperimentato Nunzio nel suo percorso di studi, e che Nunzio non si sarebbe impegnato così tanto senza la motivazione che oggi è il cardine della carriera di Giuseppe. Tre persone, migliaia di pezzi, un solo disegno per diventare il professionista che hanno sempre desiderato essere.
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