Era il 1997 quando il velista, Charles J. Moore, durante una regata transpacifica da Los Angeles alle Hawaii, al pari di Cristoforo Colombo, scoprì una “terra” non riportata sulle carte. Oggi la conosciamo come “Great Pacific Garbage Patch”, è l’isola di rifiuti più grande al mondo. Le stime sulla sua dimensione, di difficile misurazione a causa della composizione prevalente di microplastiche, vanno da 700.000 Km2 ad oltre 10.000.000 di Km2”; in altre parole da 2 a 32 volte la superficie dell’intero territorio italiano.
La Great Pacific Garbage Patch, conosciuta anche come Pacific Trash Vortex, non è l’unica isola di plastica: ne conosciamo almeno altre sei. La loro origine è per l’80% dovuta a rifiuti che finiscono in mare dalla terraferma mentre solo il 20% sono rifiuti prodotti da imbarcazioni e dai carichi di navi portacontainer che finiscono in mare.
La Great Pacific Garbage Patch, conosciuta anche come Pacific Trash Vortex, non è l’unica isola di plastica: ne conosciamo almeno altre sei. La loro origine è per l’80% dovuta a rifiuti che finiscono in mare dalla terraferma mentre solo il 20% sono rifiuti prodotti da imbarcazioni e dai carichi di navi portacontainer che finiscono in mare.
Le isole di plastica sono solo una delle ragioni che nei decenni hanno portato la comunità scientifica a condannare l’utilizzo della plastica. Un’altra motivazione è legata alla scarsità del petrolio, materia prima da cui viene prodotta. Tutto questo ha creato nella società una visione sempre più scettica nei confronti dell’uso di questo materiale.
Il successo della plastica è legato a diversi fattori, si tratta infatti di un materiale: facile da produrre e modellare, igienico, leggero e poco ingombrante, economico, impermeabile, ermetico, duraturo e infrangibile ma al tempo stesso elastico e resistente alle alte e alle basse temperature. Tutte queste caratteristiche lo rendono in molti casi insostituibile, soprattutto nell’industria alimentare dove consente la conservazione dei prodotti e la loro protezione durante i traporti garantendo al tempo stesso bassi i costi e i livelli di CO2 emessi durante gli spostamenti.
Ma allora cosa non va? La longevità: un suo punto di forza si trasforma in un problema. Impiegando decine di anni a decomporsi, per alcuni prodotti centinaia, succede che, trasportata dai movimenti degli oceani, la plastica si accumuli nelle zone di confluenza delle correnti oceaniche dando vita alle isole di rifiuti.
Se la longevità della plastica è il problema, qual è la soluzione? Ridurre il divario impressionante tra la quantità prodotta e quella raccolta e riciclata: l’80% della plastica generata in tutto il mondo non viene riciclata ma finisce la sua vita nell’ambiente, per la maggior parte in mare. Al fine di ridurre questo divario abbiamo due strade: ridurre le quantità prodotte/utilizzate e aumentare quelle riciclate.
Come azienda che agisce globalmente, siamo ben consapevoli della nostra impronta ecologica. E’ per questo che siamo impegnati da molti anni nella raccolta, nello smistamento e nel recupero della plastica, materiale indispensabile per il core business del Gruppo Schwarz (al quale Lidl appartiene): la vendita al dettaglio di prodotti alimentari e non. E’ per questo che dal 2018 abbiamo adottato una strategia di Gruppo: REset Plastic.
Si tratta di un approccio olistico al problema che comprende cinque aree di azione: REduce, REdesign, REcycle, REmove, REsearch (clicca qui per conoscerla meglio). I principali obiettivi di questa strategia, nonostante il tema complesso e di forte impatto, sono chiari e semplici:
- riduzione del 20% della plastica impiegata entro il 2025
- eliminazione della plastica nera negli imballaggi a marchio proprio entro la fine del 2021
- impiego al 100% di materiali riciclabili delle confezioni di prodotti a marchio Lidl entro il 2025
- impiego, in media, del 20% di materiali riciclati nelle confezioni a marchio proprio entro il 2025
Il raggiungimento di questi obiettivi sfidanti è possibile grazie ad un ciclo chiuso all’interno del Gruppo Schwarz. Oltre ai due retailer, Lidl e Kaufland, fanno parte del gruppo altre due società: Pre Zero e Schwarz Produktion. La prima è la nostra divisione ambientale che si occupa della gestione e del riciclo dei rifiuti, che opera in 280 località distribuite in 9 Paesi, tra cui l’Italia. La seconda, invece, si occupa di produrre bevande, cioccolatini, noci e frutta secca, prodotti da forno e gelati. Oltre a questi, attraverso degli impianti che gestiscono il riciclo del PET, vengono realizzati alcuni elementi delle confezioni degli articoli prodotti.
E’ per la plastica che è già in mare? Sono diverse le iniziative che aziende, enti ed organizzazioni stanno mettendo in piedi. Lidl Italia, ad esempio, ha recentemente ampliato la propria offerta di prodotti realizzati con plastica riciclata con il lancio della collezione sportiva “Crivit Ocean Bound”. Una gamma che regala nuova vita ai rifiuti plastici raccolti da spiagge, isole o zone costiere utilizzandoli come principale componente per top, pantaloni e scarpe innovative e sostenibili. Tutti gli articoli di questa linea sono certificati Global Recycled Standard (GRS) e Recycled Material Certification (RMC) Blue, certificazioni promosse rispettivamente dall’associazione internazionale Textile Exchange e dall’organizzazione PFI Fareast.
Sembrano frasi fatte ma tutti noi, modificando le nostre abitudini, i nostri stili di vita e di consumo possiamo fare la differenza. Tocca solo decidere quale impronta lasciare sul pianeta!
Era il 1997 quando il velista, Charles J. Moore, durante una regata transpacifica da Los Angeles alle Hawaii, al pari di Cristoforo Colombo, scoprì una “terra” non riportata sulle carte. Oggi la conosciamo come “Great Pacific Garbage Patch”, è l’isola di rifiuti più grande al mondo. Le stime sulla sua dimensione, di difficile misurazione a causa della composizione prevalente di microplastiche, vanno da 700.000 Km2 ad oltre 10.000.000 di Km2”; in altre parole da 2 a 32 volte la superficie dell’intero territorio italiano.
La Great Pacific Garbage Patch, conosciuta anche come Pacific Trash Vortex, non è l’unica isola di plastica: ne conosciamo almeno altre sei. La loro origine è per l’80% dovuta a rifiuti che finiscono in mare dalla terraferma mentre solo il 20% sono rifiuti prodotti da imbarcazioni e dai carichi di navi portacontainer che finiscono in mare.
La Great Pacific Garbage Patch, conosciuta anche come Pacific Trash Vortex, non è l’unica isola di plastica: ne conosciamo almeno altre sei. La loro origine è per l’80% dovuta a rifiuti che finiscono in mare dalla terraferma mentre solo il 20% sono rifiuti prodotti da imbarcazioni e dai carichi di navi portacontainer che finiscono in mare.
Le isole di plastica sono solo una delle ragioni che nei decenni hanno portato la comunità scientifica a condannare l’utilizzo della plastica. Un’altra motivazione è legata alla scarsità del petrolio, materia prima da cui viene prodotta. Tutto questo ha creato nella società una visione sempre più scettica nei confronti dell’uso di questo materiale.
Il successo della plastica è legato a diversi fattori, si tratta infatti di un materiale: facile da produrre e modellare, igienico, leggero e poco ingombrante, economico, impermeabile, ermetico, duraturo e infrangibile ma al tempo stesso elastico e resistente alle alte e alle basse temperature. Tutte queste caratteristiche lo rendono in molti casi insostituibile, soprattutto nell’industria alimentare dove consente la conservazione dei prodotti e la loro protezione durante i traporti garantendo al tempo stesso bassi i costi e i livelli di CO2 emessi durante gli spostamenti.
Ma allora cosa non va? La longevità: un suo punto di forza si trasforma in un problema. Impiegando decine di anni a decomporsi, per alcuni prodotti centinaia, succede che, trasportata dai movimenti degli oceani, la plastica si accumuli nelle zone di confluenza delle correnti oceaniche dando vita alle isole di rifiuti.
Se la longevità della plastica è il problema, qual è la soluzione? Ridurre il divario impressionante tra la quantità prodotta e quella raccolta e riciclata: l’80% della plastica generata in tutto il mondo non viene riciclata ma finisce la sua vita nell’ambiente, per la maggior parte in mare. Al fine di ridurre questo divario abbiamo due strade: ridurre le quantità prodotte/utilizzate e aumentare quelle riciclate.
Come azienda che agisce globalmente, siamo ben consapevoli della nostra impronta ecologica. E’ per questo che siamo impegnati da molti anni nella raccolta, nello smistamento e nel recupero della plastica, materiale indispensabile per il core business del Gruppo Schwarz (al quale Lidl appartiene): la vendita al dettaglio di prodotti alimentari e non. E’ per questo che dal 2018 abbiamo adottato una strategia di Gruppo: REset Plastic.
Si tratta di un approccio olistico al problema che comprende cinque aree di azione: REduce, REdesign, REcycle, REmove, REsearch (clicca qui per conoscerla meglio). I principali obiettivi di questa strategia, nonostante il tema complesso e di forte impatto, sono chiari e semplici:
- riduzione del 20% della plastica impiegata entro il 2025
- eliminazione della plastica nera negli imballaggi a marchio proprio entro la fine del 2021
- impiego al 100% di materiali riciclabili delle confezioni di prodotti a marchio Lidl entro il 2025
- impiego, in media, del 20% di materiali riciclati nelle confezioni a marchio proprio entro il 2025
Il raggiungimento di questi obiettivi sfidanti è possibile grazie ad un ciclo chiuso all’interno del Gruppo Schwarz. Oltre ai due retailer, Lidl e Kaufland, fanno parte del gruppo altre due società: Pre Zero e Schwarz Produktion. La prima è la nostra divisione ambientale che si occupa della gestione e del riciclo dei rifiuti, che opera in 280 località distribuite in 9 Paesi, tra cui l’Italia. La seconda, invece, si occupa di produrre bevande, cioccolatini, noci e frutta secca, prodotti da forno e gelati. Oltre a questi, attraverso degli impianti che gestiscono il riciclo del PET, vengono realizzati alcuni elementi delle confezioni degli articoli prodotti.
E’ per la plastica che è già in mare? Sono diverse le iniziative che aziende, enti ed organizzazioni stanno mettendo in piedi. Lidl Italia, ad esempio, ha recentemente ampliato la propria offerta di prodotti realizzati con plastica riciclata con il lancio della collezione sportiva “Crivit Ocean Bound”. Una gamma che regala nuova vita ai rifiuti plastici raccolti da spiagge, isole o zone costiere utilizzandoli come principale componente per top, pantaloni e scarpe innovative e sostenibili. Tutti gli articoli di questa linea sono certificati Global Recycled Standard (GRS) e Recycled Material Certification (RMC) Blue, certificazioni promosse rispettivamente dall’associazione internazionale Textile Exchange e dall’organizzazione PFI Fareast.
Sembrano frasi fatte ma tutti noi, modificando le nostre abitudini, i nostri stili di vita e di consumo possiamo fare la differenza. Tocca solo decidere quale impronta lasciare sul pianeta!