Alla base dell’Internet of Things (IoT) vi è l’idea di portare nel mondo digitale gli oggetti della nostra esperienza quotidiana. Non parliamo quindi di connettere solo computer, smartphone, tablet, ma anche gli oggetti che ci circondano nelle nostre case, al lavoro, nelle città: termostati, elettrodomestici, impianti produttivi, automobili, e così via.
Alla base dell’Internet of Things vi sono quindi gli oggetti intelligenti (i cosiddetti “smart objects”). Ma quali proprietà deve avere un oggetto per poter essere definito “smart”?
Due sono essenziali: l’oggetto deve essere dotato di un identificativo univoco nel mondo digitale (una sorta di indirizzo IP, esattamente come una pagina web nell’Internet tradizionale che tutti conosciamo) e deve essere connesso per poter trasmettere informazioni. Oltre a queste due proprietà, un oggetto smart ne può possedere anche altre, a seconda del contesto di impiego. Può fornirci informazioni su sé stesso, come ad esempio il suo stato di funzionamento, per dirci quando necessita di manutenzione, e la sua la posizione: parliamo in questo caso di localizzazione (ad esempio: dove si trova ora la mia auto? O, mentre sono in viaggio in aereo, dove si trova la mia valigia?) oppure parliamo di tracciabilità (dove sono state prodotte le mie scarpe? Si tratta di informazioni importanti ad esempio per garantire l’originalità dei prodotti).
Gli oggetti smart possono però dirci anche qualcosa dell’ambiente circostante, grazie alla possibilità di interagire con il mondo esterno: parliamo di sensing (ad esempio per misurare variabili di stato come la temperatura, la pressione, il livello di inquinamento) o di metering (per variabili di flusso come i consumi di energia elettrica, acqua, gas). Oltre a ciò, un oggetto può interagire attivamente con l’ambiente che lo circonda, compiendo azioni. Ad esempio chiudendo una valvola per motivi di sicurezza.
Infine, un’ultima proprietà che possono avere gli oggetti smart è la capacità di elaborazione dati in locale, ad esempio per selezionare quali informazioni trasmettere tra quelle raccolte.
L’intelligenza non si ferma però agli oggetti, ma si spinge fin dentro alla natura della rete che li interconnette, altrimenti parleremmo di reti di oggetti connessi, senza scomodare l’espressione Internet delle cose. Il termine “Internet” NON denota che la tecnologia utilizzata sia la stessa dell’Internet delle informazioni che noi tutti usiamo. Bensì indica che la rete che connette gli oggetti ambisce ad avere quelle stesse proprietà di apertura e standardizzazione che hanno decretato il successo di Internet e che sono essenziali per poter interagire con gli oggetti e per garantire la multifunzionalità applicativa. Il termine multifunzionalità fa riferimento alla possibilità di sviluppare nel tempo nuove applicazioni, con finalità anche molto diverse da quelle per cui gli oggetti sono stati inizialmente connessi.
Ad esempio, il monitoraggio dei consumi elettrici dei dispositivi all’interno di una abitazione, sviluppato con finalità di efficienza energetica, può essere poi sfruttato per monitorare le abitudini comportamentali e fornire servizi di assistenza alla persona. Pensiamo a una persona anziana che vive da sola: ciò consente di identificare possibili situazioni anomale, che potrebbero far ipotizzare un malore, e di mandare una segnalazione a un familiare.
Abbiamo cercato fin qui di definire cosa è l’Internet of Things. Ma quali sono i campi di impiego di questo paradigma? Le applicazioni sono numerosissime: dall’autovettura che dialoga con l’infrastruttura stradale per prevenire incidenti, agli elettrodomestici di casa che si coordinano per ottimizzare l’impegno di potenza ed evitare interruzioni di corrente; dagli impianti di produzione che scambiano dati per consentire di prevenire i guasti, ai semafori che si sincronizzano per creare un’onda verde per il passaggio di un mezzo di soccorso.
Angela Tumino
Direttore dell'Osservatorio Internet of Things
Alla base dell’Internet of Things (IoT) vi è l’idea di portare nel mondo digitale gli oggetti della nostra esperienza quotidiana. Non parliamo quindi di connettere solo computer, smartphone, tablet, ma anche gli oggetti che ci circondano nelle nostre case, al lavoro, nelle città: termostati, elettrodomestici, impianti produttivi, automobili, e così via.
Alla base dell’Internet of Things vi sono quindi gli oggetti intelligenti (i cosiddetti “smart objects”). Ma quali proprietà deve avere un oggetto per poter essere definito “smart”?
Due sono essenziali: l’oggetto deve essere dotato di un identificativo univoco nel mondo digitale (una sorta di indirizzo IP, esattamente come una pagina web nell’Internet tradizionale che tutti conosciamo) e deve essere connesso per poter trasmettere informazioni. Oltre a queste due proprietà, un oggetto smart ne può possedere anche altre, a seconda del contesto di impiego. Può fornirci informazioni su sé stesso, come ad esempio il suo stato di funzionamento, per dirci quando necessita di manutenzione, e la sua la posizione: parliamo in questo caso di localizzazione (ad esempio: dove si trova ora la mia auto? O, mentre sono in viaggio in aereo, dove si trova la mia valigia?) oppure parliamo di tracciabilità (dove sono state prodotte le mie scarpe? Si tratta di informazioni importanti ad esempio per garantire l’originalità dei prodotti).
Gli oggetti smart possono però dirci anche qualcosa dell’ambiente circostante, grazie alla possibilità di interagire con il mondo esterno: parliamo di sensing (ad esempio per misurare variabili di stato come la temperatura, la pressione, il livello di inquinamento) o di metering (per variabili di flusso come i consumi di energia elettrica, acqua, gas). Oltre a ciò, un oggetto può interagire attivamente con l’ambiente che lo circonda, compiendo azioni. Ad esempio chiudendo una valvola per motivi di sicurezza.
Infine, un’ultima proprietà che possono avere gli oggetti smart è la capacità di elaborazione dati in locale, ad esempio per selezionare quali informazioni trasmettere tra quelle raccolte.
L’intelligenza non si ferma però agli oggetti, ma si spinge fin dentro alla natura della rete che li interconnette, altrimenti parleremmo di reti di oggetti connessi, senza scomodare l’espressione Internet delle cose. Il termine “Internet” NON denota che la tecnologia utilizzata sia la stessa dell’Internet delle informazioni che noi tutti usiamo. Bensì indica che la rete che connette gli oggetti ambisce ad avere quelle stesse proprietà di apertura e standardizzazione che hanno decretato il successo di Internet e che sono essenziali per poter interagire con gli oggetti e per garantire la multifunzionalità applicativa. Il termine multifunzionalità fa riferimento alla possibilità di sviluppare nel tempo nuove applicazioni, con finalità anche molto diverse da quelle per cui gli oggetti sono stati inizialmente connessi.
Ad esempio, il monitoraggio dei consumi elettrici dei dispositivi all’interno di una abitazione, sviluppato con finalità di efficienza energetica, può essere poi sfruttato per monitorare le abitudini comportamentali e fornire servizi di assistenza alla persona. Pensiamo a una persona anziana che vive da sola: ciò consente di identificare possibili situazioni anomale, che potrebbero far ipotizzare un malore, e di mandare una segnalazione a un familiare.
Abbiamo cercato fin qui di definire cosa è l’Internet of Things. Ma quali sono i campi di impiego di questo paradigma? Le applicazioni sono numerosissime: dall’autovettura che dialoga con l’infrastruttura stradale per prevenire incidenti, agli elettrodomestici di casa che si coordinano per ottimizzare l’impegno di potenza ed evitare interruzioni di corrente; dagli impianti di produzione che scambiano dati per consentire di prevenire i guasti, ai semafori che si sincronizzano per creare un’onda verde per il passaggio di un mezzo di soccorso.
Angela Tumino
Direttore dell'Osservatorio Internet of Things