Published at 25 Jun 2020
Published at 25 Jun 2020
La storia di Pietro, da una startup messicana di Pisco a Junior Brand Manager in P&G

La storia di Pietro, da una startup messicana di Pisco a Junior Brand Manager in P&G


Pietro Ciuffini ha girato il mondo per studiare e lavorare: Paesi Bassi, Messico, Panama, Costa Rica, Perù e ora Roma per uno stage in P&G. Leggi la sua esperienza!


Tutored è il punto di incontro tra studenti, giovani laureati e aziende. All’interno della nostra piattaforma, gli utenti possono scoprire gli sbocchi lavorativi in base al loro percorso di studio, esplorare le aziende e candidarsi alle numerose opportunità di stage, lavoro e graduate program. 

All’interno della piattaforma, ci piace raccontare le storie di giovani talenti che hanno fatto un percorso di studio brillante e oggi lavorano presso importanti realtà. 


Hai avuto un percorso di studi molto interessante: puoi raccontarlo brevemente? Quanto è importante secondo te fare un'esperienza di studi all'estero? 

Interessante è un parolone! Mi sono tenuto a galla tutto il Liceo, a 17 anni sono andato in Nuova Zelanda a “studiare” per poi tornare e diplomarmi con 63/100. A 19 anni sono entrato alla School of Business di Maastricht: finita la scuola superiore, ho ricercato tramite le classifiche quali fossero le migliori università di economia e quella di Maastricht era tra le top e si vendeva molto bene.  Ad oggi, a 23 anni, sono stato preso alla HEC Paris, #1 Business School d’Europa. Praticamente dai 17 in poi la mia carriera scolastica è stata un climax, frastagliata di viaggi e persone nuove che mi hanno fatto vivere esperienze totalmente fuori da quello che avrei mai immaginato e mi hanno aperto strade incredibili.

Bisogna fare attenzione però a non generalizzare. Le esperienze all’estero ormai vengono osannate come se fossero la via segreta per il successo. Che poi bisogna anche chiarire cos’è il successo: è un buon lavoro? È trovare l’amore? È essere felici con i propri cari accanto? 

Ormai si è instaurata nella nostra generazione questa corsa fanatica all’esperienza. Devi andare a vivere all’estero, devi fare un internship l’estate, devi fare volontariato, tutto allo scopo ultimo di scrivere queste “esperienze” su un pezzo di carta che se non superi il test di logica nemmeno verrà mai visto. Vogliamo tutti avere una delle big four sul curriculum ma nemmeno sappiamo come si paga una bolletta. 

Le esperienze all’estero vanno vissute non fatte. Ti insegnano a vivere, a cavartela. Ti insegnano le lingue e come rapportarti con persone culturalmente diverse dai quattro amici della piazzetta. Ti insegnano ad apprezzare quello che avevi a casa tua o semplicemente ti aprono gli occhi a mondi completamente nuovi. Ti possa piacere oppure no, alla fine ne esci cresciuto, e guardando indietro quello che conta veramente sono le amicizie che hai stretto, le cose che hai imparato ed i progetti a cui hai apportato valore. E ti do per garantito che se non ti sei divertito, tornerai a casa (perché ci tornerai a casa) più vuoto di prima.


Hai fatto numerose attività extra universitarie: puoi raccontale brevemente? Quale di queste pensi sia stata davvero importante per iniziare al meglio la tua carriera? 


Durante tutto il liceo ho lavorato nelle discoteche, con i miei amici organizzavamo eventi da più di mille persone. Il quinto anno ho aiutato un giornale locale a trovare sponsors paganti ed inoltre compravo e rivendevo i libri dei finalmente diplomati che non vedevano l’ora di disfarsene. Arrivato all’università ho seguito con 4 colleghi la messa in piedi del Maastricht Finance Day, dove abbiamo fatto incontrare 200 studenti con 25 compagnie, un progetto che ha fruttato alla Junior Enterprise 20k euro. Mi sono occupato dell’organizzazione e della parte di accounting.

Dal momento che all’inizio della mia carriera universitaria avrei voluto lavorare nel settore finance, l’estate 2017 ho seguito per due mesi un trader di un fondo d’investimenti che gestisce 12 miliardi in titoli di stato. Un’altra esperienza imprenditoriale è stata quella di fondare Sammarly, una piattaforma di compravendita di appunti universitari che ho recentemente fuso con Appuntibay.com (ad oggi il terzo mercato di appunti più grande in Italia). Per ultimissima, ho seguito l’importazione di 3000 bottiglie di Pisco (acquavite peruviana) con Rompe Mar, una start-up messicana che mi ha offerto quote della società a fronte del mio impegno nel portare la compagnia in Europa.

Quest’ultima è sicuramente, ad oggi, l’esperienza che mi ha aperto più strade. Per 6 mesi io e Guillaume, il fondatore, abbiamo girato Panama, Costa Rica, Perù e Messico sviluppando il brand e la sua filosofia (rompemar.com / @rompemarpisco). Il risultato è stato strabiliante. Vendiamo dentro al Ritz Carlton di Messico City, abbiamo 3 diversi distributori sparsi per il territorio e riceviamo ogni settimana richieste di collaborazione da fotografi, influencers e bar tenders sparsi da New York ad Hong Kong e dalla Puglia a Londra. Il prossimo step sarà quello di importare il Pisco anche in Europa.


In questo momento stai svolgendo uno stage presso P&G: come ci sei arrivato e come si sono svolte le selezioni? 


Ho applicato tramite LinkedIn, sono stato selezionato per svolgere il test di logica, l’ho passato, poi mi hanno selezionato per una prima intervista virtuale ed in fine due altre interviste in sede con due diversi Brand Manager (con uno dei quali lavoro adesso).

Non sono mai stato un fan delle candidature standardizzate come quella di P&G, in cui ragazzi potenzialmente molto bravi e motivati vengono scartati perché magari non hanno una scuola conosciuta sul CV o sbagliano una risposta di troppo al test di logica. Purtroppo, però, ho capito che un rastrellamento iniziale è necessario data l’incredibile mole di candidature che hanno queste grosse multinazionali. Ti assicuro però, che se sei la persona giusta per il lavoro, se ne accorgono tutti immediatamente. Alla fine dei giochi, triennale e master ti permettono di arrivare al tavolo giusto, ma se ti ci siedi o no dipende dalla persona che sei.

Un consiglio per le interviste, e parlo in generale non prettamente per P&G, è di essere spontanei. Non mi sono mai preparato una risposta (nemmeno il famoso “raccontami di te”) e ad oggi non mi hanno mai rifiutato dopo un interview! Un recruiter vuole sapere se sei una persona piacevole da avere in ufficio o no. Se gli creerai problemi o glieli risolverai. Se entri con passione nella sua compagnia o lo fai solo per il curriculum. Se riuscirai ad integrarti e svolgere il famoso “team work”. Perché siamo seri, le competenze pratiche che potrai apportare al suo business, almeno per i primi mesi, sono pari a zero. Quindi vuole essere sicuro che se un giorno che gli sarà andato tutto storto ti incontrerà in ascensore, riuscirai a strappargli un sorriso e mandarlo a casa contento.


Di cosa ti occupi in qualità di Junior Brand Manager Intern nel team di P&G? 

Aiuto Oral-B ad accrescere la penetrazione degli spazzolini elettrici in Italia. Mi hanno messo a gestire una “start-up” interna alla compagnia. Un ruolo molto interessante perché mi permette di spaziare tra tutti i reparti di Procter per chiedere consigli, brieffare strategie ed aiutare nell’implementazione di nuove idee.

Ovviamente non è finita qua! Infatti da qualche mese mi occupo anche di supportare alcuni brands P&G nel mondo ecommerce, di identificare i nuovi trend di prodotti sostenibili in Italia, della creazione di un tool innovativo da vendere ai mass markets ed aiuto con un progetto HR.


Prima di P&G hai fondato diverse attività, un ambiente decisamente diverso rispetto a lavorare presso una grande realtà: quali sono le differenze che noti maggiormente tra startup e corporate e cosa hai imparato da queste esperienze?

La qualità di Procter è di essere al contrario di quello che molti pensano una compagnia estremamente innovativa e giovane. Ovviamente abbiamo molti prodotti dominanti sul mercato, quindi le leggi ci colpiscono più duramente di altri e letteralmente metà del tempo lo passiamo a combattere con la nostra burocrazia interna. Però le opportunità che ho qui dentro sono sconfinate. 

Lavorando ad un progetto molto innovativo mi sento come se fossi a comando di una startup ma sopra un razzo pronto a partire. Siamo più lenti dei famosi collegiali americani nei garage, notevolmente più lenti. Ma tutte le cose che sto imparando qui sul mondo del lavoro, sul mondo delle agenzie ed in generale sul mondo dei consumatori, penso che non avrei mai potuto impararle altrove. Le start-up ti fanno sognare, le grandi realtà ti fanno imparare, e per crescere bene a mio parere serve un po’ di tutti e due.

Sei un recruiter? Scopri come digitalizzare le strategie di employer branding e recruiting della tua azienda grazia a tutored. Attrai e assumi giovani talenti: scopri Tutored Business.

Pietro Ciuffini ha girato il mondo per studiare e lavorare: Paesi Bassi, Messico, Panama, Costa Rica, Perù e ora Roma per uno stage in P&G. Leggi la sua esperienza!


Tutored è il punto di incontro tra studenti, giovani laureati e aziende. All’interno della nostra piattaforma, gli utenti possono scoprire gli sbocchi lavorativi in base al loro percorso di studio, esplorare le aziende e candidarsi alle numerose opportunità di stage, lavoro e graduate program. 

All’interno della piattaforma, ci piace raccontare le storie di giovani talenti che hanno fatto un percorso di studio brillante e oggi lavorano presso importanti realtà. 


Hai avuto un percorso di studi molto interessante: puoi raccontarlo brevemente? Quanto è importante secondo te fare un'esperienza di studi all'estero? 

Interessante è un parolone! Mi sono tenuto a galla tutto il Liceo, a 17 anni sono andato in Nuova Zelanda a “studiare” per poi tornare e diplomarmi con 63/100. A 19 anni sono entrato alla School of Business di Maastricht: finita la scuola superiore, ho ricercato tramite le classifiche quali fossero le migliori università di economia e quella di Maastricht era tra le top e si vendeva molto bene.  Ad oggi, a 23 anni, sono stato preso alla HEC Paris, #1 Business School d’Europa. Praticamente dai 17 in poi la mia carriera scolastica è stata un climax, frastagliata di viaggi e persone nuove che mi hanno fatto vivere esperienze totalmente fuori da quello che avrei mai immaginato e mi hanno aperto strade incredibili.

Bisogna fare attenzione però a non generalizzare. Le esperienze all’estero ormai vengono osannate come se fossero la via segreta per il successo. Che poi bisogna anche chiarire cos’è il successo: è un buon lavoro? È trovare l’amore? È essere felici con i propri cari accanto? 

Ormai si è instaurata nella nostra generazione questa corsa fanatica all’esperienza. Devi andare a vivere all’estero, devi fare un internship l’estate, devi fare volontariato, tutto allo scopo ultimo di scrivere queste “esperienze” su un pezzo di carta che se non superi il test di logica nemmeno verrà mai visto. Vogliamo tutti avere una delle big four sul curriculum ma nemmeno sappiamo come si paga una bolletta. 

Le esperienze all’estero vanno vissute non fatte. Ti insegnano a vivere, a cavartela. Ti insegnano le lingue e come rapportarti con persone culturalmente diverse dai quattro amici della piazzetta. Ti insegnano ad apprezzare quello che avevi a casa tua o semplicemente ti aprono gli occhi a mondi completamente nuovi. Ti possa piacere oppure no, alla fine ne esci cresciuto, e guardando indietro quello che conta veramente sono le amicizie che hai stretto, le cose che hai imparato ed i progetti a cui hai apportato valore. E ti do per garantito che se non ti sei divertito, tornerai a casa (perché ci tornerai a casa) più vuoto di prima.


Hai fatto numerose attività extra universitarie: puoi raccontale brevemente? Quale di queste pensi sia stata davvero importante per iniziare al meglio la tua carriera? 


Durante tutto il liceo ho lavorato nelle discoteche, con i miei amici organizzavamo eventi da più di mille persone. Il quinto anno ho aiutato un giornale locale a trovare sponsors paganti ed inoltre compravo e rivendevo i libri dei finalmente diplomati che non vedevano l’ora di disfarsene. Arrivato all’università ho seguito con 4 colleghi la messa in piedi del Maastricht Finance Day, dove abbiamo fatto incontrare 200 studenti con 25 compagnie, un progetto che ha fruttato alla Junior Enterprise 20k euro. Mi sono occupato dell’organizzazione e della parte di accounting.

Dal momento che all’inizio della mia carriera universitaria avrei voluto lavorare nel settore finance, l’estate 2017 ho seguito per due mesi un trader di un fondo d’investimenti che gestisce 12 miliardi in titoli di stato. Un’altra esperienza imprenditoriale è stata quella di fondare Sammarly, una piattaforma di compravendita di appunti universitari che ho recentemente fuso con Appuntibay.com (ad oggi il terzo mercato di appunti più grande in Italia). Per ultimissima, ho seguito l’importazione di 3000 bottiglie di Pisco (acquavite peruviana) con Rompe Mar, una start-up messicana che mi ha offerto quote della società a fronte del mio impegno nel portare la compagnia in Europa.

Quest’ultima è sicuramente, ad oggi, l’esperienza che mi ha aperto più strade. Per 6 mesi io e Guillaume, il fondatore, abbiamo girato Panama, Costa Rica, Perù e Messico sviluppando il brand e la sua filosofia (rompemar.com / @rompemarpisco). Il risultato è stato strabiliante. Vendiamo dentro al Ritz Carlton di Messico City, abbiamo 3 diversi distributori sparsi per il territorio e riceviamo ogni settimana richieste di collaborazione da fotografi, influencers e bar tenders sparsi da New York ad Hong Kong e dalla Puglia a Londra. Il prossimo step sarà quello di importare il Pisco anche in Europa.


In questo momento stai svolgendo uno stage presso P&G: come ci sei arrivato e come si sono svolte le selezioni? 


Ho applicato tramite LinkedIn, sono stato selezionato per svolgere il test di logica, l’ho passato, poi mi hanno selezionato per una prima intervista virtuale ed in fine due altre interviste in sede con due diversi Brand Manager (con uno dei quali lavoro adesso).

Non sono mai stato un fan delle candidature standardizzate come quella di P&G, in cui ragazzi potenzialmente molto bravi e motivati vengono scartati perché magari non hanno una scuola conosciuta sul CV o sbagliano una risposta di troppo al test di logica. Purtroppo, però, ho capito che un rastrellamento iniziale è necessario data l’incredibile mole di candidature che hanno queste grosse multinazionali. Ti assicuro però, che se sei la persona giusta per il lavoro, se ne accorgono tutti immediatamente. Alla fine dei giochi, triennale e master ti permettono di arrivare al tavolo giusto, ma se ti ci siedi o no dipende dalla persona che sei.

Un consiglio per le interviste, e parlo in generale non prettamente per P&G, è di essere spontanei. Non mi sono mai preparato una risposta (nemmeno il famoso “raccontami di te”) e ad oggi non mi hanno mai rifiutato dopo un interview! Un recruiter vuole sapere se sei una persona piacevole da avere in ufficio o no. Se gli creerai problemi o glieli risolverai. Se entri con passione nella sua compagnia o lo fai solo per il curriculum. Se riuscirai ad integrarti e svolgere il famoso “team work”. Perché siamo seri, le competenze pratiche che potrai apportare al suo business, almeno per i primi mesi, sono pari a zero. Quindi vuole essere sicuro che se un giorno che gli sarà andato tutto storto ti incontrerà in ascensore, riuscirai a strappargli un sorriso e mandarlo a casa contento.


Di cosa ti occupi in qualità di Junior Brand Manager Intern nel team di P&G? 

Aiuto Oral-B ad accrescere la penetrazione degli spazzolini elettrici in Italia. Mi hanno messo a gestire una “start-up” interna alla compagnia. Un ruolo molto interessante perché mi permette di spaziare tra tutti i reparti di Procter per chiedere consigli, brieffare strategie ed aiutare nell’implementazione di nuove idee.

Ovviamente non è finita qua! Infatti da qualche mese mi occupo anche di supportare alcuni brands P&G nel mondo ecommerce, di identificare i nuovi trend di prodotti sostenibili in Italia, della creazione di un tool innovativo da vendere ai mass markets ed aiuto con un progetto HR.


Prima di P&G hai fondato diverse attività, un ambiente decisamente diverso rispetto a lavorare presso una grande realtà: quali sono le differenze che noti maggiormente tra startup e corporate e cosa hai imparato da queste esperienze?

La qualità di Procter è di essere al contrario di quello che molti pensano una compagnia estremamente innovativa e giovane. Ovviamente abbiamo molti prodotti dominanti sul mercato, quindi le leggi ci colpiscono più duramente di altri e letteralmente metà del tempo lo passiamo a combattere con la nostra burocrazia interna. Però le opportunità che ho qui dentro sono sconfinate. 

Lavorando ad un progetto molto innovativo mi sento come se fossi a comando di una startup ma sopra un razzo pronto a partire. Siamo più lenti dei famosi collegiali americani nei garage, notevolmente più lenti. Ma tutte le cose che sto imparando qui sul mondo del lavoro, sul mondo delle agenzie ed in generale sul mondo dei consumatori, penso che non avrei mai potuto impararle altrove. Le start-up ti fanno sognare, le grandi realtà ti fanno imparare, e per crescere bene a mio parere serve un po’ di tutti e due.

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