Joinrs è il punto di incontro tra studenti, profili junior e aziende: grazie al nostro modello di AI, aiutiamo i job seeker ad identificare e scoprire i migliori annunci in linea con le loro ambizioni. Contemporaneamente, oltre 150 aziende clienti portano avanti sulla nostra piattaforma strategie di employer branding e talent acquisition con l'obiettivo di attrarre i candidati più compatibili con i valori dell’azienda. Se sei un’azienda e vuoi saperne di più, clicca qui.
Per conoscere il mondo Risorse Umane. Per chiacchierare e rubare qualche segreto del mestiere a professionisti che hanno da raccontare. Per lasciarvi ispirare. La raccolta di interviste di Joinrs a chi lavora in ambito HR nasce con questi tre obiettivi: ci auguriamo che nelle loro storie possiate trovare i consigli che cercate e la determinazione per iniziare (o proseguire) nella costruzione dei vostri più obiettivi professionali.
Marcello Rita è un professionista che ha saputo coniugare la sua formazione legale con una profonda passione per le risorse umane e il mondo del lavoro.
Cresciuto in un ambiente familiare dove il lavoro era parte integrante dell'identità, ha sviluppato una curiosità profonda verso le persone e le loro attività quotidiane. Questa combinazione di interessi lo ha portato a diventare un punto di riferimento nel campo delle risorse umane e dell'organizzazione aziendale. Lo ringraziamo ancora per il tempo che ci ha dedicato nel partecipare a questo progetto. Ora è arrivato il momento di leggere l’intervista!
Non avevo programmato questo percorso, fin da piccolo mi piaceva il diritto, ma volevo fare il magistrato. Presto mi sono appassionato anche a tutto quello che ruotava intorno al lavoro, alle persone che lavorano. Era un divertimento andare al lavoro coi miei genitori. Mio papà era un meccanico, mia mamma un medico, volevo capire cosa facessero. Mi ricordo l’odore che c’era nei loro luoghi di lavoro, raccontava qualcosa di loro. Crescendo è aumentato l’interesse, ho provato personalmente tanti lavori. Ho scoperto che ciascun mestiere ha le sue cose belle e le sue particolarità. La curiosità è cresciuta, è maturata. Ho messo insieme le due cose: il diritto e il lavoro. È iniziata così.
Durante la carriera universitaria non ho trovato difficoltà è stato un gran bel periodo, purtroppo dura poco! Lavorando con le persone e con le relazioni, le difficoltà ci sono tutti i giorni, e tutti i giorni si imparano nuove cose. Non è un “modo di dire”. Ascoltare, farlo davvero, permette di entrare in empatia con chi ti sta parlando. Attraverso quello che ti racconta scopri delle cose dell’altra persona, ma anche di te stesso. L’insegnamento più prezioso per me è proprio questo, rimanere consapevoli di avere sempre da imparare da tutti.
Abito in un paese minuscolo, sull’appennino tra Emilia e Toscana, le mie giornate iniziano in auto verso le 6.30. è un bel momento della giornata perché ripasso quello che mi aspetta, ho tempo per pensare a quello che voglio esprimere nella giornata. Nella quotidianità il mio lavoro, come tutti, ha diverse componenti: decisioni, soluzioni, relazioni, mediazioni. Il principale obiettivo è fare in modo che queste componenti mantengano, per me e per le persone che mi stanno intorno, il significato che ho espresso. Quindi, penso di aver fatto bene il mio lavoro quando: le decisioni non si trasformano in incombenze, le soluzioni rimangono più numerose dei problemi, le relazioni non diventano prese di posizione, le mediazioni non sfociano litigi. Se la sera, nel viaggio di ritorno, posso dire di aver lavorato nel senso delle parole, allora penso di aver fatto il mio lavoro.
Risposta breve: trovare una cosa che a loro piace e lavorarci, tanto. Risposta completa: il lavoro non deve per forza essere una passione, non credo sia obbligatorio essere “appassionati” del proprio lavoro. Se ci si vuole distinguere, penso sia importante che il lavoro che abbiamo scelto ci interessi, ci piaccia. Questo è il primo ingrediente. Il secondo è la dedizione, di testa, di anima, di corpo, di mani. Qualsiasi siano le parti di noi che desideriamo impiegare nel lavoro, se si vuole emergere è importante dedicarsi davvero. Non risparmiarsi, non stare un passo indietro, procurarsi qualcosa in più da fare. Studiare, aggiornarsi, proporre cose nuove. Sbagliare, assumersi la responsabilità dei propri errori, soprattutto verso sé stessi, non assolversi, riprovare, cercare di migliorare. Tutte queste cose richiedono tempo, sia nelle singole giornate, che nelle settimane, nei mesi, negli anni. Per me la similitudine più immediata è lo sport. Non ci sono sportivi o sportive che si siano distinti in uno sport per cui non provano interesse o a cui non abbiano dedicato tempo. Chi si è distinto si è allenato di più o meglio della maggior parte di chi non si è distinto.
Non c’è stato un singolo “mentore” che abbia guidato tutto il mio percorso. Ci sono state, e ci sono ancora, persone da cui ho imparato molto sulle diverse parti del mio lavoro.
All’inizio nei cantieri, nei magazzini e nelle cucine, ci sono state persone che, pur non parlando la mia lingua, mi hanno insegnato bene e in fretta a stare attento a me e a loro. Andando avanti ho lavorato con imprenditori e imprenditrici che mi hanno trasmesso il piacere e l’orgoglio di costruire qualcosa di proprio, con perseveranza e rigore. Ci sono stati manager che mi hanno insegnato e mi insegnano la cura per le persone, la capacità di continua mediazione, l’attenzione al senso delle cose che si fanno, l’importanza di monitorare e celebrare.
Allo stesso modo: leggere i migliori scrittori serve tanto, quasi come leggere i libri di management dei sedicenti guru di turno, se non altro perché capisci che molti dei guru di turno hanno letto parte dei libri dei migliori scrittori, ma mai il contrario. A parte gli scherzi, credo che la migliore fonte di apprendimento sia assumersi la responsabilità di quello che ci accade, senza incolpare altri. Pensare in questo modo permette di fare qualcosa di diverso da quello che si è fatto prima e quindi di imparare sempre.
Non penso di poter dare consigli, posso dire quello che ha funzionato per me. La consulenza come inizio è molto utile, perché ti permette di entrare in realtà diverse, fare varie esperienze in poco tempo, allenare la flessibilità e la velocità di pensiero, sviluppare la cultura della soluzione, sperimentare tanto. Entrare in una realtà strutturata, dopo essere stati consulenti, è traumatico all’inizio. Poi però si sperimenta la complessità di relazioni durature con i colleghi, il coordinamento di persone che non sempre hai scelto, la necessità di cambiare obiettivi e organizzazione, affidandosi alle medesime persone.
Credo che la combinazione di queste esperienze possa fornire due cose importanti: la possibilità di paragonare e scegliere, la capacità di avviare qualcosa di proprio con le idee un po’ più chiare su quello che si vuole fare o su quello che non si vuole diventare.
Il rugby è uno sport in cui l’obiettivo è andare avanti, passando la palla indietro, questo comporta due cose:
una grande parte della tua responsabilità è tenersi pronto ad aiutare, stando un passo indietro;
quando ricevi la palla devi avanzare, ma quando non ce la fai più, prima di cadere, devi ricordarti di mettere la palla a disposizione di un tuo amico, che è lì dietro, pronto ad aiutarti.
Per me è tutto quello che serve nella vita.
Joinrs è il punto di incontro tra studenti, profili junior e aziende: grazie al nostro modello di AI, aiutiamo i job seeker ad identificare e scoprire i migliori annunci in linea con le loro ambizioni. Contemporaneamente, oltre 150 aziende clienti portano avanti sulla nostra piattaforma strategie di employer branding e talent acquisition con l'obiettivo di attrarre i candidati più compatibili con i valori dell’azienda. Se sei un’azienda e vuoi saperne di più, clicca qui.
Per conoscere il mondo Risorse Umane. Per chiacchierare e rubare qualche segreto del mestiere a professionisti che hanno da raccontare. Per lasciarvi ispirare. La raccolta di interviste di Joinrs a chi lavora in ambito HR nasce con questi tre obiettivi: ci auguriamo che nelle loro storie possiate trovare i consigli che cercate e la determinazione per iniziare (o proseguire) nella costruzione dei vostri più obiettivi professionali.
Marcello Rita è un professionista che ha saputo coniugare la sua formazione legale con una profonda passione per le risorse umane e il mondo del lavoro.
Cresciuto in un ambiente familiare dove il lavoro era parte integrante dell'identità, ha sviluppato una curiosità profonda verso le persone e le loro attività quotidiane. Questa combinazione di interessi lo ha portato a diventare un punto di riferimento nel campo delle risorse umane e dell'organizzazione aziendale. Lo ringraziamo ancora per il tempo che ci ha dedicato nel partecipare a questo progetto. Ora è arrivato il momento di leggere l’intervista!
Non avevo programmato questo percorso, fin da piccolo mi piaceva il diritto, ma volevo fare il magistrato. Presto mi sono appassionato anche a tutto quello che ruotava intorno al lavoro, alle persone che lavorano. Era un divertimento andare al lavoro coi miei genitori. Mio papà era un meccanico, mia mamma un medico, volevo capire cosa facessero. Mi ricordo l’odore che c’era nei loro luoghi di lavoro, raccontava qualcosa di loro. Crescendo è aumentato l’interesse, ho provato personalmente tanti lavori. Ho scoperto che ciascun mestiere ha le sue cose belle e le sue particolarità. La curiosità è cresciuta, è maturata. Ho messo insieme le due cose: il diritto e il lavoro. È iniziata così.
Durante la carriera universitaria non ho trovato difficoltà è stato un gran bel periodo, purtroppo dura poco! Lavorando con le persone e con le relazioni, le difficoltà ci sono tutti i giorni, e tutti i giorni si imparano nuove cose. Non è un “modo di dire”. Ascoltare, farlo davvero, permette di entrare in empatia con chi ti sta parlando. Attraverso quello che ti racconta scopri delle cose dell’altra persona, ma anche di te stesso. L’insegnamento più prezioso per me è proprio questo, rimanere consapevoli di avere sempre da imparare da tutti.
Abito in un paese minuscolo, sull’appennino tra Emilia e Toscana, le mie giornate iniziano in auto verso le 6.30. è un bel momento della giornata perché ripasso quello che mi aspetta, ho tempo per pensare a quello che voglio esprimere nella giornata. Nella quotidianità il mio lavoro, come tutti, ha diverse componenti: decisioni, soluzioni, relazioni, mediazioni. Il principale obiettivo è fare in modo che queste componenti mantengano, per me e per le persone che mi stanno intorno, il significato che ho espresso. Quindi, penso di aver fatto bene il mio lavoro quando: le decisioni non si trasformano in incombenze, le soluzioni rimangono più numerose dei problemi, le relazioni non diventano prese di posizione, le mediazioni non sfociano litigi. Se la sera, nel viaggio di ritorno, posso dire di aver lavorato nel senso delle parole, allora penso di aver fatto il mio lavoro.
Risposta breve: trovare una cosa che a loro piace e lavorarci, tanto. Risposta completa: il lavoro non deve per forza essere una passione, non credo sia obbligatorio essere “appassionati” del proprio lavoro. Se ci si vuole distinguere, penso sia importante che il lavoro che abbiamo scelto ci interessi, ci piaccia. Questo è il primo ingrediente. Il secondo è la dedizione, di testa, di anima, di corpo, di mani. Qualsiasi siano le parti di noi che desideriamo impiegare nel lavoro, se si vuole emergere è importante dedicarsi davvero. Non risparmiarsi, non stare un passo indietro, procurarsi qualcosa in più da fare. Studiare, aggiornarsi, proporre cose nuove. Sbagliare, assumersi la responsabilità dei propri errori, soprattutto verso sé stessi, non assolversi, riprovare, cercare di migliorare. Tutte queste cose richiedono tempo, sia nelle singole giornate, che nelle settimane, nei mesi, negli anni. Per me la similitudine più immediata è lo sport. Non ci sono sportivi o sportive che si siano distinti in uno sport per cui non provano interesse o a cui non abbiano dedicato tempo. Chi si è distinto si è allenato di più o meglio della maggior parte di chi non si è distinto.
Non c’è stato un singolo “mentore” che abbia guidato tutto il mio percorso. Ci sono state, e ci sono ancora, persone da cui ho imparato molto sulle diverse parti del mio lavoro.
All’inizio nei cantieri, nei magazzini e nelle cucine, ci sono state persone che, pur non parlando la mia lingua, mi hanno insegnato bene e in fretta a stare attento a me e a loro. Andando avanti ho lavorato con imprenditori e imprenditrici che mi hanno trasmesso il piacere e l’orgoglio di costruire qualcosa di proprio, con perseveranza e rigore. Ci sono stati manager che mi hanno insegnato e mi insegnano la cura per le persone, la capacità di continua mediazione, l’attenzione al senso delle cose che si fanno, l’importanza di monitorare e celebrare.
Allo stesso modo: leggere i migliori scrittori serve tanto, quasi come leggere i libri di management dei sedicenti guru di turno, se non altro perché capisci che molti dei guru di turno hanno letto parte dei libri dei migliori scrittori, ma mai il contrario. A parte gli scherzi, credo che la migliore fonte di apprendimento sia assumersi la responsabilità di quello che ci accade, senza incolpare altri. Pensare in questo modo permette di fare qualcosa di diverso da quello che si è fatto prima e quindi di imparare sempre.
Non penso di poter dare consigli, posso dire quello che ha funzionato per me. La consulenza come inizio è molto utile, perché ti permette di entrare in realtà diverse, fare varie esperienze in poco tempo, allenare la flessibilità e la velocità di pensiero, sviluppare la cultura della soluzione, sperimentare tanto. Entrare in una realtà strutturata, dopo essere stati consulenti, è traumatico all’inizio. Poi però si sperimenta la complessità di relazioni durature con i colleghi, il coordinamento di persone che non sempre hai scelto, la necessità di cambiare obiettivi e organizzazione, affidandosi alle medesime persone.
Credo che la combinazione di queste esperienze possa fornire due cose importanti: la possibilità di paragonare e scegliere, la capacità di avviare qualcosa di proprio con le idee un po’ più chiare su quello che si vuole fare o su quello che non si vuole diventare.
Il rugby è uno sport in cui l’obiettivo è andare avanti, passando la palla indietro, questo comporta due cose:
una grande parte della tua responsabilità è tenersi pronto ad aiutare, stando un passo indietro;
quando ricevi la palla devi avanzare, ma quando non ce la fai più, prima di cadere, devi ricordarti di mettere la palla a disposizione di un tuo amico, che è lì dietro, pronto ad aiutarti.
Per me è tutto quello che serve nella vita.