Per molti è una normale modalità di impiego, ma lo smart working non indica solo il lavoro da remoto o il lavoro agile (concetti diversi, ma ci arriviamo tra un attimo). Smart significa “intelligente” nel senso di “efficiente”, “efficace” e oggi la tecnologia e il digitale aiutano moltissimo a fare una cosa che in altre epoche sarebbe stato impensabile: lavorare meno rispetto a quanto sarebbe necessario per produrre o erogare beni, servizi, in un minor lasso di tempo.
Ad esempio riuscendo a seguire due riunioni in una stessa giornata, una a Milano e l’altra a Roma, ma stando comodamente seduti alla propria scrivania grazie a un tool di videoconferenze. O riuscendo a condividere in tempo reale un documento con i propri colleghi, modificandolo grazie all’accesso contemporaneo in cloud - pensate a Google Drive.
Oggi, la maggior parte dei servizi erogati da multinazionali e imprese del settore banking-fintech è svolto grazie alle modalità o agli spunti dello smart working. Un esempio? I servizi della consulenza direct, cioè l’assistenza ai clienti della banca, fatta da remoto.
Il Politecnico di Milano ha attivato un osservatorio dedicato solo allo smart working, cioè al monitoraggio delle aziende, dei settori, che lo applicano e alle norme con cui viene regolato. Bene, il Polimi lo definisce così:
“Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
In questa definizione è contenuto il senso dello smart working: una modalità in cui non ci sono orari, cartellini da timbrare, né obblighi particolari che i dipendenti devono seguire, a parte chiaramente raggiungere i risultati - ad esempio consegnare in tempo un progetto, svolgere le mansioni previste dal contratto ecc… In questo scenario, lo smart worker può scegliere dove lavorare, quanto e in con quali mezzi.
Detto altrimenti: lo smart worker è un dipendente che per molti aspetti si comporta come un freelance o lavoratore autonomo. Con la differenza di ricevere uno stipendio fisso al mese e di dipendere in via esclusiva da una sola azienda.
Lavorare smart significa quindi:
- Flessibilità di orario, ovvero libertà di organizzare l’orario di lavoro giornaliero e settimanale (garantendo però il raggiungimento dell’orario minimo previsto dal contratto d’assunzione);
- Libertà di spazio, cioè la possibilità per lo smart worker di decidere dove lavorare, se in ufficio o da casa o affittando una scrivania o una postazione in un co-working o in un business center;
- Flessibilità nella scelta degli strumenti, ovvero la capacità di decidere e organizzare i tool e le modalità di lavoro per raggiungere l’obiettivo - es. scegliere di lavorare con il proprio pc o indicando all’azienda l’acquisto di una licenza o strumento specifico.
- Responsabilità del risultato, che è poi l’altra faccia dell’autonomia dello smart working e cioè: a fronte della libertà di organizzazione data, il lavoratore è poi responsabile del risultato ottenuto.
Tutto questo si traduce in Italia con le regole sul lavoro agile, che è ben diverso dal telelavoro o lavoro da remoto cioè la modalità in cui il dipendente resta a casa o in altra postazione, ma deve usare programmi, rispettare orari e restare reperibile dalle 9 alle 17 in base a quanto stabilito dal datore. Senza avere autonomia né flessibilità.
Questi concetti invece sono essenziali per il lavoro agile e sono un principi presi a prestito dalla Silicon Valley e dal mondo start-up: non importa come lavori, purché porti a casa il risultato.
Ora, non tutte le industry e le aziende possono permettersi di far lavorare i loro dipendenti in modalità smart. Pensate ad esempio a chi produce auto come FCA: può lasciare flessibilità ai dipendenti amministrativi ma non agli operai specializzati delle linee di montaggio.
In genere, il terreno ideale del lavoro smart riguarda comparti come:
- Servizi di consulenza, comparto in cui operano aziende come KPMG, Pwc, Accenture, Deloitte (scopri le posizioni aperte e approfondisci leggendo anche l’Industria della consulenza);
- Sviluppo informatico, attività che possono essere svolte da remoto e in modalità agile per conto di clienti, aziende terze e società hi-tech come IBM, Amazon, Apple, Google, Microsoft;
Education e formazione continua, proprio come il servizio di training peer-to-peer offerto da Tutored;
- Gig economy, ovvero tutto il settore dei servizi di ingaggio da remoto, siano essi nel comparto food industry, del delivery o della consulenza stessa e che sfruttano piattaforme di matching online - da Airbnb a Deliveroo passando per Amazon Mechanical Turk o Mathesia - per assumere lavoratori;
- Fintech e banking, per via dei servizi di consulenza e assistenza digitale ai clienti;
- E-commerce e Sales management, vale a dire il settore di sviluppo delle strategie di vendita di servizi e prodotti.
- Marketing e comunicazione, comparti in cui lo sforzo intellettuale e il raggiungimento di obiettivi - ad esempio la gestione dei profili social di un’azienda o di un brand - sono per definizione affidati in modalità agile.
Ma non bisogna fare l’errore di confondere smart con “altrove fisicamente”. Abbiamo visto che si tratta di una mentalità, di un approccio al lavoro che responsabilizza il dipendente o il consulente.
Esistono persino fabbriche e comparti della manifattura che possono lavorare in modalità smart working. Come il caso di un’azienda friuliana che ha dato libertà ai suoi operai: possono entrare e uscire quando vogliono dall’azienda senza dover chiedere permessi o timbrare il cartellino, purché consegnino le lavorazioni in tempo.
Fatta questa premessa, è facile capire come ottimizzare le proprie capacità con lo smart working, purché si tenga conto di questi elementi:
1. Ecologia del lavoro - Lavorare smart significa semplificare, quindi se è più semplice lavorare da casa che non affittare una scrivania in un coworking a un’ora di distanza, preferiamo la prima opzione;
2. Coworking si o no - Optiamo per il coworking quando abbiamo un lavoro che non richiede segretezza. Ad esempio, un avvocato non può lavorare in un open-space, così come non può farlo uno psicologo o un medico per via del segreto professionale a cui sono tenuti e alla discrezione che devono usare. Meglio un ufficio chiuso.
3. Open source vs private - I programmi e i tool di video-call o di condivisione dei documenti sono spesso open source. Il che vuol dire anche che i dati che scambiamo potrebbero non essere completamente segreti. Il classico esempio è l’utilizzo di programmi di grafica condivisa, come Canva, che permette di tenere i progetti per sé solo pagando la licenza. Spesso invece è la stessa azienda a fornire un programma o una piattaforma per lo scambio di materiali e consulenze, compresi i sistemi di messaggistica aziendale. Teniamo conto di questo aspetto se ad esempio lavoriamo nella comunicazione per clienti che non vogliono rendere noto il loro logo o la loro campagna fino a pubblicazione ufficiale.
4. Digital divide e connessione Internet - Se lavoriamo come consulente direct (a proposito, scopri in che consiste questo mestiere). per una banca, ad esempio, dovremmo fare in modo di avere una connessione Internet stabile. Altrimenti, meglio lavorare in ufficio.
5. Chi paga cosa - Tutti gli strumenti, le licenze e i costi da sostenere per il lavoro smart sono in genere a carico dell’azienda, ma al momento di optare per questa modalità di impiego facciamo attenzione a leggere o a chiedere chiaramente cosa sia a carico nostro e cosa non lo sia. Spesso le società, specie le multinazionali, hanno un vademecum per lo smart working o una policy interna che è bene consultare prima.
Infine, ecco un elenco di strumenti e approfondimenti utili per capire lo smart working
- Guida allo smart working in Italia: clicca qui
- Il manuale dello smart working della Commissione Europea: clicca qui
- La Settimana del Lavoro Agile: clicca qui
Tutored è il punto di incontro tra studenti, neolaureati e aziende. Entra nella community di tutored per esplorare tutte le opportunità di carriera in linea con i tuoi studi, leggere i consigli dei recruiter delle aziende attive su tutored per prepararti al meglio al tuo prossimo colloquio.
Per molti è una normale modalità di impiego, ma lo smart working non indica solo il lavoro da remoto o il lavoro agile (concetti diversi, ma ci arriviamo tra un attimo). Smart significa “intelligente” nel senso di “efficiente”, “efficace” e oggi la tecnologia e il digitale aiutano moltissimo a fare una cosa che in altre epoche sarebbe stato impensabile: lavorare meno rispetto a quanto sarebbe necessario per produrre o erogare beni, servizi, in un minor lasso di tempo.
Ad esempio riuscendo a seguire due riunioni in una stessa giornata, una a Milano e l’altra a Roma, ma stando comodamente seduti alla propria scrivania grazie a un tool di videoconferenze. O riuscendo a condividere in tempo reale un documento con i propri colleghi, modificandolo grazie all’accesso contemporaneo in cloud - pensate a Google Drive.
Oggi, la maggior parte dei servizi erogati da multinazionali e imprese del settore banking-fintech è svolto grazie alle modalità o agli spunti dello smart working. Un esempio? I servizi della consulenza direct, cioè l’assistenza ai clienti della banca, fatta da remoto.
Il Politecnico di Milano ha attivato un osservatorio dedicato solo allo smart working, cioè al monitoraggio delle aziende, dei settori, che lo applicano e alle norme con cui viene regolato. Bene, il Polimi lo definisce così:
“Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
In questa definizione è contenuto il senso dello smart working: una modalità in cui non ci sono orari, cartellini da timbrare, né obblighi particolari che i dipendenti devono seguire, a parte chiaramente raggiungere i risultati - ad esempio consegnare in tempo un progetto, svolgere le mansioni previste dal contratto ecc… In questo scenario, lo smart worker può scegliere dove lavorare, quanto e in con quali mezzi.
Detto altrimenti: lo smart worker è un dipendente che per molti aspetti si comporta come un freelance o lavoratore autonomo. Con la differenza di ricevere uno stipendio fisso al mese e di dipendere in via esclusiva da una sola azienda.
Lavorare smart significa quindi:
- Flessibilità di orario, ovvero libertà di organizzare l’orario di lavoro giornaliero e settimanale (garantendo però il raggiungimento dell’orario minimo previsto dal contratto d’assunzione);
- Libertà di spazio, cioè la possibilità per lo smart worker di decidere dove lavorare, se in ufficio o da casa o affittando una scrivania o una postazione in un co-working o in un business center;
- Flessibilità nella scelta degli strumenti, ovvero la capacità di decidere e organizzare i tool e le modalità di lavoro per raggiungere l’obiettivo - es. scegliere di lavorare con il proprio pc o indicando all’azienda l’acquisto di una licenza o strumento specifico.
- Responsabilità del risultato, che è poi l’altra faccia dell’autonomia dello smart working e cioè: a fronte della libertà di organizzazione data, il lavoratore è poi responsabile del risultato ottenuto.
Tutto questo si traduce in Italia con le regole sul lavoro agile, che è ben diverso dal telelavoro o lavoro da remoto cioè la modalità in cui il dipendente resta a casa o in altra postazione, ma deve usare programmi, rispettare orari e restare reperibile dalle 9 alle 17 in base a quanto stabilito dal datore. Senza avere autonomia né flessibilità.
Questi concetti invece sono essenziali per il lavoro agile e sono un principi presi a prestito dalla Silicon Valley e dal mondo start-up: non importa come lavori, purché porti a casa il risultato.
Ora, non tutte le industry e le aziende possono permettersi di far lavorare i loro dipendenti in modalità smart. Pensate ad esempio a chi produce auto come FCA: può lasciare flessibilità ai dipendenti amministrativi ma non agli operai specializzati delle linee di montaggio.
In genere, il terreno ideale del lavoro smart riguarda comparti come:
- Servizi di consulenza, comparto in cui operano aziende come KPMG, Pwc, Accenture, Deloitte (scopri le posizioni aperte e approfondisci leggendo anche l’Industria della consulenza);
- Sviluppo informatico, attività che possono essere svolte da remoto e in modalità agile per conto di clienti, aziende terze e società hi-tech come IBM, Amazon, Apple, Google, Microsoft;
Education e formazione continua, proprio come il servizio di training peer-to-peer offerto da Tutored;
- Gig economy, ovvero tutto il settore dei servizi di ingaggio da remoto, siano essi nel comparto food industry, del delivery o della consulenza stessa e che sfruttano piattaforme di matching online - da Airbnb a Deliveroo passando per Amazon Mechanical Turk o Mathesia - per assumere lavoratori;
- Fintech e banking, per via dei servizi di consulenza e assistenza digitale ai clienti;
- E-commerce e Sales management, vale a dire il settore di sviluppo delle strategie di vendita di servizi e prodotti.
- Marketing e comunicazione, comparti in cui lo sforzo intellettuale e il raggiungimento di obiettivi - ad esempio la gestione dei profili social di un’azienda o di un brand - sono per definizione affidati in modalità agile.
Ma non bisogna fare l’errore di confondere smart con “altrove fisicamente”. Abbiamo visto che si tratta di una mentalità, di un approccio al lavoro che responsabilizza il dipendente o il consulente.
Esistono persino fabbriche e comparti della manifattura che possono lavorare in modalità smart working. Come il caso di un’azienda friuliana che ha dato libertà ai suoi operai: possono entrare e uscire quando vogliono dall’azienda senza dover chiedere permessi o timbrare il cartellino, purché consegnino le lavorazioni in tempo.
Fatta questa premessa, è facile capire come ottimizzare le proprie capacità con lo smart working, purché si tenga conto di questi elementi:
1. Ecologia del lavoro - Lavorare smart significa semplificare, quindi se è più semplice lavorare da casa che non affittare una scrivania in un coworking a un’ora di distanza, preferiamo la prima opzione;
2. Coworking si o no - Optiamo per il coworking quando abbiamo un lavoro che non richiede segretezza. Ad esempio, un avvocato non può lavorare in un open-space, così come non può farlo uno psicologo o un medico per via del segreto professionale a cui sono tenuti e alla discrezione che devono usare. Meglio un ufficio chiuso.
3. Open source vs private - I programmi e i tool di video-call o di condivisione dei documenti sono spesso open source. Il che vuol dire anche che i dati che scambiamo potrebbero non essere completamente segreti. Il classico esempio è l’utilizzo di programmi di grafica condivisa, come Canva, che permette di tenere i progetti per sé solo pagando la licenza. Spesso invece è la stessa azienda a fornire un programma o una piattaforma per lo scambio di materiali e consulenze, compresi i sistemi di messaggistica aziendale. Teniamo conto di questo aspetto se ad esempio lavoriamo nella comunicazione per clienti che non vogliono rendere noto il loro logo o la loro campagna fino a pubblicazione ufficiale.
4. Digital divide e connessione Internet - Se lavoriamo come consulente direct (a proposito, scopri in che consiste questo mestiere). per una banca, ad esempio, dovremmo fare in modo di avere una connessione Internet stabile. Altrimenti, meglio lavorare in ufficio.
5. Chi paga cosa - Tutti gli strumenti, le licenze e i costi da sostenere per il lavoro smart sono in genere a carico dell’azienda, ma al momento di optare per questa modalità di impiego facciamo attenzione a leggere o a chiedere chiaramente cosa sia a carico nostro e cosa non lo sia. Spesso le società, specie le multinazionali, hanno un vademecum per lo smart working o una policy interna che è bene consultare prima.
Infine, ecco un elenco di strumenti e approfondimenti utili per capire lo smart working
- Guida allo smart working in Italia: clicca qui
- Il manuale dello smart working della Commissione Europea: clicca qui
- La Settimana del Lavoro Agile: clicca qui
Tutored è il punto di incontro tra studenti, neolaureati e aziende. Entra nella community di tutored per esplorare tutte le opportunità di carriera in linea con i tuoi studi, leggere i consigli dei recruiter delle aziende attive su tutored per prepararti al meglio al tuo prossimo colloquio.